(Ad Alta Voce 2024, testo di Marina Zaffagnini, lettura di Marina Zaffagnini e Roberta Martelli)
Quando abbiamo incominciato le nostre esplorazioni nelle vite dei pittori dell’Ottocento che vi stiamo presentando, sapevamo poco o nulla di Clementina Marcovigi, pittrice di fiori. Certo, possiamo vedere un suo dipinto nello studiolo di Frederick Stibbert nell’omonimo museo di Firenze e il suo nome compare nel Dizionario degli artisti italiani viventi di Angelo De Gubernatis, per altro dato alle stampe quando la povera Clementina era già morta. Ma essendo morta giovane, avendo così poche tracce del suo lavoro e, purtroppo non irrilevante, essendo di sesso femminile, ci si poteva immaginare una giovane di buona famiglia per la quale la pittura fosse poco più di un hobby. Invece scavando un poco scopriamo che sì, era una ragazza di famiglia benestante che frequentava la “buona società” bolognese (da un numero del Fanfulla del febbraio 1881 sappiamo ad esempio che partecipava agli “allegri martedì sera dati dalla contessa” Armandi Avogli Trotti), ma Clementina aveva voluto una formazione formale iscrivendosi alla Regia Accademia di Belle Arti, dove aveva studiato con Gaetano Lodi, e aveva inseguito l’indipendenza economica lavorando a opere sue e dando lezioni. Nel necrologio apparso sul Resto del Carlino del 13 dicembre 1887 leggiamo:
“Non solo seppe nel ritrarre i fiori apprendere la prontezza e la disinvoltura del maestro [il Lodi], ma anche (e ciò torna assai più difficile) lo spirito, l’eleganza e la freschezza delle forme e del colore. Ben presto fu pertanto conosciuta e a sua volta ebbe in Bologna ammiratrici e scolare.
Fu allora che animata dalla Musa dell’arte e da un delicatissimo senso dei propri doveri, si portò a Firenze. Per quanto la sua famiglia fosse agiata, ella non volle essere menomamente di peso e di pensiero. Ella diceva che tutti al mondo debbono (o meglio dovrebbero) pensare alla propria esistenza come al proprio decoro.
In Firenze fu tosto per le sue virtù amata, desiderata e ammirata dagli artisti e dalla più eletta società. La città dei fiori predilesse ben presto la gentile pittrice dei fiori; e Clementina ebbe nell’alta aristocrazia scolare e amiche, che le procurarono una posizione morale ed economica invidiabilissima.
A Firenze perfezionò d’assai l’arte sua. L’abbondanza dei fiori, onde in ogni stagione riempiva il suo atelier elegante, e più lo studio diretto del vero le fecero fare dei progressi assai notevoli. A poco a poco dimenticò alcune cifre o formule peculiari del suo maestro ed ebbe un’arte propria. Così alcuni suoi saggi messi in mostra in Firenze ottennero un vero successo; così nella recente esposizione di Venezia (dove di ben mille e duecento quadri esposti, soltanto sessanta furono venduti) ebbe l’onore di trovar subito il compratore d’un suo dipinto.”
Il necrologio di cui abbiamo letto uno stralcio è a firma di Corrado Ricci. Corrado Ricci fu museografo, archeologo, storico dell’arte e ebbe incarichi ministeriali ma all’epoca di cui parliamo era impiegato alla biblioteca universitaria e scriveva su varie testate editoriali. Richiamo la sua attenzione su di lui unicamente perché fu coetaneo e amico di Raffaello Marcovigi, fratello di Clementina, e la stessa Clementina, quanto meno nel corso del 1883, è in corrispondenza con lui. Vi voglio leggere uno stralcio da una lettera, conservata nel fondo Corrado Ricci della biblioteca Classense di Ravenna, che credo dia un’idea di come l’atmosfera di casa Marcovigi dovesse essere rilassata e scherzosa. La lettera è evidentemente una risposta ad una del Ricci in cui si fa riferimento ai comuni amici in modo giocoso.
Firenze 10-febbraio-1883
Perché ricordarsi di me solo il primo giorno di Quaresima? E’ forse stato quel po’ di cenere in fronte che oltre il memento homo ecc. … le ha pure rammentato che nella bella città dei fiori vi era un’amica desiderosa di sue notizie e dei comuni amici. Bando ai rimproveri, la resurrezione è stata tanto gentile e graziosa che non mi resta che ringraziarla di cuore.
Eccole dei versi sciolti o legati, a piacere del lettore (…); l’ispirazione mi è venuta leggendo il suo “melo-perodramma”.
Poi prosegue con una diretta risposta al melo-perodramma di Ricci. Ne leggo la seconda metà.
Salve Felsina mia! Saluti a torri,
Arcate volte, nereggianti ostelli,
Mortadelle squisite io vi saluto.
Lamberteschi sorgete, e il vostro esempio
Coraggio infonda a tutti i giuocatori ??
Che col Caffè sorbiscono le Scienze.
Auguro scenda al pian chi al Monte aspira,
Ad un che scuota la sua lunga calma,
Ad altro il taglio dell’immensa barba,
Al mio biondino alato, archi e saette
Il vituperio delle genti a Lei.
Saluti in nome mio tutti gli attori
Del melo-perodramma e prego Lei
Si faccia iniziator d’altro lavoro,
Perché per ora non farò ritorno
E vò imitar la luna bolognese
Trattenendomi qua più di cent’anni ??
Clementina
Non so chi siano gli amici, frequentatori del Caffè delle Scienze, cui si riferisce Clementina nei suoi auguri scherzosi. Solo il “biondino” so per certo essere Raffaello Marcovigi, il fratello maggiore di Clementina. Così lo chiamavano, con un soprannome datogli da Giovanni Pascoli. Sì perché Corrado Ricci non era l’unico amico che ha poi goduto di notorietà. Tra i frequentatori di casa Marcovigi troviamo anche Enrico Ferri, Ugo Brilli, Severino Ferrari e, occasionalmente, pure Carducci; con Pascoli arriva a casa Marcovigi anche Ruggero Leoncavallo che durante il suo soggiorno bolognese si esercita e compone sul pianoforte di casa Marcovigi. Scriverà: “La sera ci si ritrovava quasi sempre, il più delle volte in casa di Raffaello Marcovigi, già legato al Poeta da fraterna amicizia. Marcovigi aveva la fortuna di possedere un pianoforte, e così si passavano delle serate allegre, perché io facevo della musica e Pascoli ci faceva sentire certi suoi versi d’una dolcezza intima, squisita.” Parliamo presumibilmente del 1877. Clementina, che è nata nell’agosto del 1861 e ha quindi 15 o 16 anni, magari ancora non partecipa a queste serate. Ma lo farà sicuramente in seguito e, prima del 1882, anno in cui Pascoli lascia Bologna, il poeta avrà modo di innamorarsi un poco di lei, senza mai dichiararsi. Alla morte di Clementina, scriverà all’amico Severino Ferrari:
“Oggi ho letto nel Carlino della morte della povera Clementina Marcovigi, che ora io rivedo, nella sua semplice eleganza, versarmi il vin di Capri, e guardarmi con occhi di colomba, intanto. E pure, chi desse retta ai poveri uomini, io non potrei più bere a quelle tazze né veder quei dolci occhi. Secondo la povera gente, io non potrei più dirle quella parola che tanti anni udii smoccolare nel mio cuore, né lei.”
E a Raffaello scrive: “Ell’era del mio passato nebbioso una figurina emergente nella luce; ell’era il capo più puro, più amabile, più soave che io intravedessi quando mi volgevo, con l’occhio del pensiero, indietro. Ora nemmeno lei mi apparirà più consolatrice; non vedrò più nemmeno lei, sorridendole!”
Ma questa amabilità di Clementina, o la sua simpatia, non ci deve distrarre dalla sua riconosciuta abilità nella tecnica pittorica. Amabile e brillante, avrà conquistato anche i circoli fiorentini nel corso del suo soggiorno in quella città. Ma la sua sola personalità non poteva garantirle la stima del Gubernatis che di lei scrive nel succitato dizionario:
“Dipinge più specialmente fiori ad olio e all’acquarello, ed in tal genere di pittura si è resa assai esperta ed insigne. A Torino nel 1884 era molto ammirato un quadro di Fiori che la Marcovigi aveva esposto, ed a Venezia nel 1887 piacquero altri Fiori stupendamente dipinti, nei quali era ammirabile la perfezione del disegno e la forza del colorito.”
E il giovane scultore fiorentino Davide Sodini, ben introdotto nei circoli dei mecenati anglosassoni e futuro nome di punta all’estero della scultura naturalista italiana, doveva essere sufficientemente amico ed ammiratore della Marcovigi da realizzare gratuitamente un rilievo in marmo per la sua tomba.
La famiglia ne fa espresso riferimento in una lettera a Corrado Ricci: viene chiesto al Ricci di scrivere una recensione sul “monumentino” realizzato dal Sodini, “che lavorò con tanto disinteresse”. (Fondo Corrado Ricci – biblioteca Classense di Ravenna)
Purtroppo alla fine degli anni ’50 la tomba viene rifatta, mettendo un orribile stemma in bronzo al vertice del timpano. Quello che vediamo qui e che chiaramente rappresenta una bambina e non una giovane donna di 26 anni, risale addirittura al 1976.
Non sono riuscita a trovare documentazione fotografica (e neppure descrizione) della scultura originale. Un peccato. I suoi lavori dispersi chissà dove e nessuna traccia del medaglione in marmo che presumibilmente la ritraeva. La Marcovigi mi sembra così doppiamente perduta.