(AD ALTA VOCE 2022 – ricerca e lettura : Emanuela Baravelli)
Enrico Panzacchi nasce nel dicembre del 1840 ad Ozzano nell’Emilia in una solida famiglia di agricoltori dove il padre é fattore ed amministratore in una vasta tenuta di casa Malvezzi. All’età di due anni la famiglia si trasferisce a Bologna dove Enrico studia in seminario. Un compagno di camerata lo ricorderà come in ragazzino timido, con gli occhi spauriti e una grande testa di capelli arruffati che gli danno un’aria un po’ selvatica. Dopo la laurea a Pisa in filologia e un un anno di insegnamento in Sardegna ritorna a Bologna per insegnare al Liceo Galvani. A 32 anni si sposa e ottiene anche una cattedra all’Accademia di Belle Arti dove rimane oltre venti anni fino a che, a 55 anni, viene nominato docente di storia dell’arte all’università di Bologna e direttore della Pinacoteca
Saranno molti i successi anche in ambito politico dove milita nell’ala moderata del partito liberale. A 28 anni diventa consigliere comunale e sarà anche assessore all’istruzione e a 42 anni é eletto deputato per la prima volta e per un anno riveste il ruolo di sottosegretario alla istruzione.
Muore a 64 anni non ancora compiuti di un carcinoma che lo affligge da tempo ma di cui gli è stata nascosta la gravità.
Quando però inizia la paralisi agli arti inferiori capisce che la fine è vicina e si fa trasportare a San Michele in Bosco per essere ricoverato all’istituto Rizzoli inaugurato da pochi anni. Qui infatti lavora il figlio di sua sorella Assunta, quel Vittorio Putti che assieme al suo predecessore, il prof. Codivilla, renderà l’ospedale un punto di riferimento nel mondo. In San Michele in Bosco ha anche curato nel 1888 l’esposizione di Belle Arti in occasione dell’ottavo centenario della (nascita) fondazione dell’Università ricavandone grande successo come organizzatore. Da là può anche godere del panorama di Bologna, città che amò moltissimo e dalla quale fu ampiamente contraccambiato. Infatti il ragazzino impacciato del seminario nel giro di quindici anni si era trasformato in un uomo ammirato e stimato, dagli interessi poliedrici che spaziano dalla letteratura alla musica fino alle arti figurative distinguendosi come poeta, saggista, critico e giornalista ma è soprattutto come oratore e conferenziere che gli viene riconosciuta la eccellenza. Aveva tutte le doti necessarie ad un oratore: alto, imponente con un viso espressivo, il capo bene eretto, il gesticolare elegante ma soprattutto dotato di una bellissima voce baritonale.
Fa parte assieme al Carducci ed al Guerrini del cosiddetto triumvirato bolognese che domina l’ambiente culturale della città nella seconda metà dello ottocento. Era facile incontrarlo nelle notti bolognesi in abito da società col cappello a cilindro e l’immancabile sigaro al club Domino, un club per gentlemen che esiste ancora oggi e che come allora ha sede in via Castiglione, oppure al Caffè del Corso, all’angolo di quel Teatro del Corso in via Santo Stefano che verrà distrutto nel 1944 in un bombardamento. Matilde Serao, che gli fu collega giornalista ed amica, dopo la morte ne ricorda la distrazione che spesso gli fa dimenticare i convegni a cui deve a partecipare e ai quali giunge desolato con ore di ritardo. Un articolista del Resto del Carlino riferisce di quando una sera dimentica la moglie a teatro e della volta che gli elettori di un paese del suo collegio lo attendono in stazione con tanto di banda per festeggiarlo: il treno é in arrivo, il Panzacchi é allo sportello, la banda attacca la musica ma il treno prosegue oltrepassando gli elettori stupefatti. Enrico, per sbaglio, aveva infatti preso il treno successivo di 5 minuti al suo, che però non fermava in quella stazione. Fu grande amico di Carducci che ebbe sempre per lui parole di grande affetto tanto che lo definí “uomo profondamente buono e critico equilibrato ed obiettivo”. I colleghi giornalisti lo ricordato cordiale, educato e sempre rispettoso degli avversari anche nelle dispute politiche. I suoi studenti lo amavano perché preferiva i metodi persuasivi alle punizioni disciplinari. A questo successo in vita a pochi anni dalla morte seguirá il disinteresse dei lettori ed un ridimensionamento fin troppo severo della critica. Enrico lo presagiva e ne soffriva anche se era consapevole di non fare parte dei grandi della letteratura e infatti nella biblioteca del Carducci viene ritrovato un suo libro in cui Enrico nella dedica si firma “uno dei minori”.
Non venne mai dimenticato del tutto infatti basta pensare che nel libro di Bassani ” Il giardino dei Finzi Contini” del 1962, il protagonista frequenta la libreria di casa Finzi Contini proprio perché deve preparare una tesi di laurea su Enrico Panzacchi.
Le sue opere comunque sono conosciute soprattutto perché inserite in antologie scolastiche. Il linguaggio che usa é facilmente comprensibile perché crede nella funzione educativa e benefica dell’arte e si prefigge di ottenerne la massima diffusione nel pubblico. Le sue poesie sono musicali ed infatti spesso vengono messe in musica. Quella che leggerò si intitola ” Meriggio estivo” ed è una delle piú apprezzate del Panzacchi, tanto che il Pascoli la inserirà in una antologia scolastica assieme ad ad altri suoi racconti.